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Campaign for Peace and Democracy Left Forum Panel New York City – March 17, 2012

" What Are the Lessons of 1989's East European
Revolutions for Transformations Today? "

Panelists: Joanne Landy, Jan Kavan, Antonio Morandi
Moderator: Thomas Harrison

TALK BY ANTONIO MORANDI (in Italian)
"Europa dell'Est" can be seen at You Tube where it is translated live into English

Questo incontro, nelle intenzioni, deve aiutare a capire cosa è avvenuto e sta avvenendo nell'Europa dell' Est, dopo il crollo dei regimi comunisti. Parliamo di territori dove ci sono condizioni molto diversificate e spesso contraddittorie l' fortemente segnate dalle scosse che i grandi cambiamenti hanno prodotto nelle economie e nelle società.

Un passaggio dai modelli del socialismo reale alle economie di mercato che è ancora incompiuto e con passaggi tanto rapidi quanto pieni di imprevisti e di contraccolpi.

Con l'aggiunta delle conseguenze della crisi finanziaria, economica e sociale dell'occidente e dell'Europa.

Nel mio intervento cercherò' di presentare una serie di informazioni e di conoscenze che il mio lavoro mi ha permesso di vivere. L'Italia è un osservatorio privilegiato per l'Est. Altri relatori che sono qui con me ci saranno di grande aiuto per capire i perché di tante disillusioni e speranze.

Occorre dire subito che molti dei luoghi comuni che spesso usiamo quando parliamo di Europa dell'Est vanno rivisitati.

Non avendo molto tempo a disposizione mi perdonerete se seguo uno schema semplice che può aiutarci ad affrontare delle realtà complicate.

Basti dire che prima del crollo del muro di Berlino esistevano ad Est 9 stati, oggi sono 29 quelli riconosciuti dalla Banca mondiale e ulteriori fermenti e problemi ci fanno dire che la situazione non è stabilizzata.

Per chiarezza diciamo che ci sono 4 aree che formano l'Europa dell' Est.

  1. i 10 paesi aderenti alla UE (di cui 3 con l'euro: Slovenia, Slovacchia ed Estonia) in cui vivono 106 milioni di cittadini europei (oltre il 20 % della popolazione del continente) e insieme rappresentano circa l'8% del PIL dell'Unione Europea;
  2. il gruppo dei paesi confinati con la Unione Europea: Bielorussia, Ukraina, Moldava, (63 milioni di abitanti) con il gigante Russia (144 milioni)
  3. I paesi della penisola dei Balcani (Croazia, Serbia, B/Herzegovina, Macedonia, Montenegro, Kossovo, Albania) + Grecia, Cipro e Turchia (che merita una trattazione a parte);
  4. la regione Caucasica (Georgia, Armenia, Azerbajan) Nagorno Karabak, Ossezia del Sud, Abcazia. Nel territorio caucasico sotto governo russo il distretto federale del Caucaso settentrionale è composto di 7 entità federali: Cecenia, Dagestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria; Ossezia del nord, territorio di Stravropol, Karacaj-Circassia

Vediamo la prima area. I dieci Stati ex comunisti, (Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Cekia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania, Bulgaria) entrano nell'Unione Europea in tempi recenti, meno di dieci anni fa e pur vincolati da crescenti legami con le realtà dell' Europa dell'occidente, sono per molti aspetti ancora legati in maniera interdipendente ad altre realtà dell'Est come la Russia, l'Ucraina, la Moldova, la Bielorussia o agli Stati della penisola Balcanica (basti pensare alle fonti energetiche o ai flussi migratori) e risentono quindi dei condizionamenti che quelle economie e quelle società determinano. L' Est ha risentito della crisi del sistema bancario e del blocco dei flussi finanziari degli investitori stranieri: la carenza di regole certe, la fragilità delle economie e la dipendenza dai capitali occidentali, sia aziendali che bancari, ha esposto duramente i Paesi dell'Europa centro orientale alla bufera: la crisi dall'Ovest si è presto riversata negli Stati centro orientali, colpendo pesantemente quelle realtà. Negli ultimi anni ed in conseguenza della crisi, l'esportazione dei prodotti manifatturieri dall'est alla vecchia Europa è diminuita e sono cessati gli investimenti. A questa situazione alcuni Stati hanno reagito meglio di altri ed hanno fatto tesoro di qualche aiuto comunitario, altri hanno copiato dall'Ovest le peggiori condotte della dispersione, del cattivo uso delle risorse e della corruzione.

Tutti hanno registrato un aumento della disoccupazione, limitato lo stato sociale, diminuito i servizi. Centinaia di migliaia di ukraini, rumeni, bulgari, polacchi, moldavi, albanesi, serbi, sono emigrati nella vecchia Europa, in Russia o in America (Canada)

Nel pieno della crisi economica il puzzle dell'Europa dell'est presenta situazioni variegate e realtà spesso contraddittorie.

Il brusco rallentamento delle economie, l'aumento della disoccupazione, l'inflazione, differenze sociali sempre più vistose, sono gli effetti che in questi ultimi due anni si registrano nei paesi centro orientali, con la particolarità della Polonia che pur investita dalla crisi ha reagito in maniera diversa. La Polonia è il maggiore dei 10 stati dell'est e ad un buon mercato per il consumo interno ha affiancato enormi aiuti finanziari avuti dall'Unione Europa (85 miliardi di euro in questi ultimi anni e li ha investiti rapidamente in opere pubbliche e strutturali). Anche la Slovacchia e la Slovenia hanno avuto meno contraccolpi, grazie alla appartenenza all'area euro, come in parte la repubblica Ceca, grazie agli investimenti tedeschi, ma i morsi della crisi hanno inciso e incidono anche in questi Paesi. Vediamo più da vicino, e molto sinteticamente, cosa è accaduto

Crollati come un domino, dopo il muro di Berlino, i vecchi regimi comunisti e disgregati i vecchi Stati federali come l'Unione Sovietica e la Jugoslavia e con la divisione della Cecoslovacchia, sono iniziati i saliscendi.

All'inizio, con l'adesione all'Unione Europea i paesi ex socialisti hanno conosciuto un'accelerazione della crescita economica ed hanno attirato cospicui investimenti stranieri. Alcuni anni febbrili che hanno fatto registrare tassi di crescita di tutto riguardo: poi la crisi internazionale ha portato alla luce incongruità e debolezze di questi stati, direttamente collegabili alla loro dipendenza dalle situazioni dell'ovest. Va ricordato come non tutti i regimi dell'est siano caduti o si siano disgregati allo stesso modo e come i vuoti provocati dal venire meno del mercato sovietico siano stati riempiti da capitali stranieri e da investimenti consistenti che le economie nazionali non avrebbero potuto realizzare.

Quindi processi di cambiamento erano diversi nelle modalità e nei tempi, ma tutti aventi come minimo comune denominatore l'ingresso di capitali stranieri.

Un dato di fatto è che la grande parte del sistema bancario dell'est Europa è di proprietà di banche occidentali: la proprietà straniera va da un minimo del 34% in Slovenia ad un massimo del 99% in Estonia. I prestiti erogati a imprese e famiglie sono stati in valuta straniera (soprattutto in euro ed in franchi svizzeri). E' evidente come vi sia un collegamento immediato tra la crisi delle banche europee, il crollo dei fondi americani, i titoli tossici e le economie dell'est: quella che sembrava una assicurazione di solidità per le fragili strutture dei sistemi bancari dell'est si è rivelata come una poderosa catena di trasmissione della crisi.

L'adesione e l'entrata nella EU si prefigurava un' ottima occasione - e lo è stata nei primi anni - ma poi, con la crisi mondiale, molti Paesi dell' est vivono tempi molto difficili. Il boom delle economie non esiste più e, dopo la crescita rapida, le giovani democrazie, con la crisi economica mondiale, arrancano in una profonda recessione. In balia delle turbolenze dei mercati finanziari globali, i Paesi esteuropei hanno verificato rapidamente la fragilità dei loro sistemi, passati velocemente da economie centralizzate a economie di mercato sfrenato. Improvvisi e inaspettati, i crolli: crollo delle valute nazionali sull'euro, crollo di liquidità, deficit pubblici che aumentano, bilanci commerciali in rosso. Immediate le ripercussioni, con tensioni sociali per l'impoverimento di larghe fasce della popolazione e la perdita del posto di lavoro, tagli all' occupazione che i pochi soccorsi delle istituzioni internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale e EU) non hanno evitato. Qui si aprirebbe una pagina molto delicata sul rapporto tra crisi e democrazia: Ungheria, Romania, Bulgaria vedono rinascere i nazionalismi, gli autoritarismi, la destra xenofoba.

La crisi economica internazionale ha messo quindi in evidenza debolezze e contraddizioni, con i governi dell'est costretti a pagare tassi molto elevati per rinnovare i crediti che finanziano i deficit pubblici. Con un deprezzamento delle valute nazionali nell'Europa dell'Est (ad eccezione ovviamente di Slovacchia, Slovenia ed Estonia che sono nell'euro) che ha provocato molti fallimenti e una liberalizzazione dei mercati finanziari che ha favorito moltissimo il prestito transnazionale direttamente dalle banche estere.

Vorrei aggiungere una considerazione che riguarda le reazioni popolari alla crisi e alla delusione per la qualità della vita dopo il crollo dei regimi del socialismo reale.

Ho assistito in questi ultimi anni a proteste e manifestazioni -anche molto partecipate- a Budapest, Lubiana, Wrozlav, Bucarest, Tirana, Sofia e altre città e capitali dell'est. Sindacati e movimenti con cortei e bandiere multicolori.

Va ricordato che sino al momento del cambio dei regimi del socialismo reale, i sindacati allora operanti avevano caratteristiche particolari e ben diverse da come intendiamo comunemente oggi: erano organizzazioni spesso di derivazione diretta del potere, senza alcuna contrattazione collettiva dei contratti e dei salari che venivano decisi sulla base della programmazione economica dei governi e della pianificazione, senza diritto si sciopero o di altra forma di protesta che era assolutamente vietata. Con l'arrivo del liberalismo e il progressivo affermarsi di regole democratiche arrivano anche le contraddizioni ed i conflitti di classe che chiedono rapide trasformazioni e nuovi soggetti di riferimento. Occorre tenere conto che le chiese hanno svolto in quegli anni funzioni di aggregazione e diventano punti di riferimento: così per Solidarnosc in Polonia, per Podkrepa in Bulgaria, per altre realtà in Romania e così via. La situazione sindacale oggi si presenta molto varia: abbiamo oggi circa49 confederazioni sindacali che contano 10 milioni di membri ai quali vanno aggiunti 4 milioni di iscritti al sindacato Bielorusso, 9,7 milioni alla federazione sindacale ukraina, 30 milioni ai tre sindacati russi, la federation of indipendent Trade unionis of Russia, La Russian Confederation of Labour, KTR Confederation of labour of Russia.

Le riflessioni sugli ultimi 20 anni di vita nei paesi post comunisti dell'Europa orientale e sulla transizione verso un'economia di mercato, in particolare sulle debolezze del modello 20 anni dopo e sulle sfide attuali, mettono in luce le caratteristiche ed i limiti di "un esperimento senza precedenti" di transizione verso un'economia di mercato e la democrazia nell'Europa orientale.

Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 vi sono stati cambiamenti radicali nelle economie dell'est, ma la realtà odierna dimostra come le aspettative iniziali fossero troppo ottimistiche. La transizione nell'Europa orientale ha fatto registrare nei primi anni 90 una recessione molto seria e prolungata, una caduta del PIL del con percentuali che variano dal 18 fino all'80%, crolli nella produzione industriale ed una ripresa economica ritardata. Le ragioni di queste difficoltà:

  • La disintegrazione economica/commerciale di molti Paesi dell'Est (URSS, CSSR, Yugoslavia),
  • Le difficoltà connesse al passaggio da un sistema amministrativo centralizzato a nuove istituzioni di mercato e la disorganizzazione ed i caos conseguenti.
  • L'adozione di politiche economiche sbagliate, con modelli iper-liberisti, politiche monetarie e fiscali eccessivamente restrittive ed una apertura troppo rapida al commercio.

Insieme a questi percorsi vi sono da evidenziare una liberalizzazione del capitale e privatizzazioni veloci senza cambiamenti nelle governance aziendali, una tassazione non progressiva delle imprese e dei redditi. E' stato dato per scontato che la politica sociale e lo stato assistenziale fossero un lusso da sacrificare sull'altare della trasformazione e quella che è stata chiamata "la crescita senza lavoro" ha avuto come conseguenza una forte disoccupazione (nei Balcani, in Kossovo ed in Macedonia supera il 45%), un aumento delle differenze sociali, una crescita della povertà (specialmente in Russia, e nei paesi Confederazione degli Stati Indipendenti). Tutto cio' in presenza di un mercato del lavoro particolarmente flessibile, con sindacati deboli e una scarsa diffusione della contrattazione collettiva (con pochissime eccezioni) e con sistemi fiscali inadeguati."

Che fare?

Verso la fine del 2008 la crisi economica mondiale ha investito in pieno l'Europa centro orientale con un drastico calo dei flussi in entrata di capitali esteri, investimenti, prestiti, rimesse e contemporaneamente con una rilevante diminuzione delle esportazioni verso l'Europa dell'ovest. Nel 2009 si sono registrate oscillazioni sempre con il segno negativo. Nel 2010 pochi segni di ripresa, ma solo in certe aree, come nel 2011.

Mi permetto di segnalare a questo dibattito che tra le possibili strade da intraprendere è stata indicata la necessità di un maggiore intervento statale.

Una possibile ripresa dell'Est è direttamente collegata alla ripresa delle economie della vecchia Europa e non risolverà comunque il problema drammatico della distruzione di posti di lavoro. Termino queste mie informazioni con un dato:

Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) l'occupazione nelle economie avanzate risalirà ai livelli pre-crisi nel 2016. Oggi si contano in totale 23 milioni di posti di lavoro persi negli ultimi 5 anni (Europa) La disoccupazione di lungo periodo penalizza in particolare le donne e i giovani. Nei 27 paesi dell'Unione europea la disoccupazione di lungo periodo è il 37% della disoccupazione totale. Se vi interessa conoscere più analiticamente la situazione nelle altre aree europee, posso indicarvi alcuni reportage, ricerche e studi sulla seconda area (Ukraina, Bielorussia, Moldavia) o sulla penisola dei Balcani e sul Caucaso.

Il tempo a mia disposizione è terminato. Grazie dell'attenzione.